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Risparmiare imposte e contributi con il WELFARE AZIENDALE

In questo articolo analizziamo come è possibile fidelizzare i propri dipendenti, renderli più presenti e partecipi nel processo produttivo, migliorare, quindi, il clima aziendale e contestualmente risparmiare imposte e contributi che gravano su azienda e dipendenti. Parliamo, quindi, dei premi di produttività e della loro eventuale trasformazione in misure di Welfare Aziendale.

I premi di produttività

I premi di produttività, sono delle integrazioni alla normale retribuzione previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL).

Tali integrazioni, sono chiamate appunto premi di produttività, premi di partecipazione agli utili aziendali o premi di risultato, e sono decisi a livello aziendale a seconda dei risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività.

I premi di produttività spettano ai dipendenti di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, che in base al contratto aziendale, hanno incrementato la produttività, la qualità, la redditività, l’innovazione nella propria azienda. Il risultato deve essere misurabile utilizzando determinati parametri.

Questi possono essere scelti liberamente ma vanno indicati nel contratto aziendale o territoriale che sta alla base del premio. Inoltre, il risultato deve essere misurabile e verificabile in un determinato periodo di tempo ritenuto congruo. A questo riguardo le regole lasciano ampio margine di manovra alle parti.

Si può spaziare da un trimestre all’anno o anche a più annualità, ma deve essere indicato nell’accordo. Non è nemmeno obbligatorio che il miglioramento si riferisca ad un periodo precedente, può anche essere basato sulle previsioni relative, per esempio, all’anno in corso.

L’importo del premio può variare in relazione al beneficiario e al risultato conseguito. C’è, infatti, la possibilità di costruire un accordo che preveda la corresponsione totale o nulla della somma al raggiungimento di uno o più parametri. E a questo proposito si può decidere che il bonus scatti solo al miglioramento di tutti gli indicatori congiuntamente o che sia sufficiente uno solo.

Ma è anche prevista la possibilità di un premio modulare, cioè che l’erogazione di parti dell’importo avvenga al raggiungimento di indicatori differenziati e disgiunti tra loro. Quindi, per esempio, la riduzione dell’assenteismo dà diritto a una determinata somma, la riduzione dei pezzi difettosi a un’altra somma, con la conseguenza che alla fine del periodo di osservazione ai dipendenti sarà riconosciuto tutto o una parte dell’importo complessivo, in base ai risultati conseguiti.

I premi di produzione erogati dall’azienda ai lavoratori, se di ammontare fino a 3 mila euro (aumentabile fino a 4 mila euro nel caso in cui i lavoratori vengano coinvolti attivamente nell’organizzazione del lavoro), beneficiano di una tassazione agevolata al 10%.

Qualora però, il lavoratore beneficiario anziché ricevere un premio in denaro preferisca trasformarlo in misure di welfare aziendale, allora è prevista la detassazione totale del premio produttività.

Il Welfare Aziendale

Il welfare aziendale può essere definito come un pacchetto di servizi, beni e opere che l’azienda mette a disposizione dei propri dipendenti e dei loro familiari.

Cominciamo col dire che non esiste una normativa uniforme ed organica in materia di welfare aziendale. Pertanto tutto ciò che viene riconosciuto dal datore di lavoro e che è volto al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori rientra nel concetto di welfare aziendale. Il welfare aziendale infatti altro non è che il sistema che garantisce il benessere dei dipendenti.

Pertanto, dipendenti che scelgono di convertire il premio di produttività con una di queste opzioni, avranno diritto a fruire di un premio esentasse.

Premi e welfare sono due realtà che possono vivere anche separatamente: da una parte può essere prevista solo l’erogazione di somme di denaro, dall’altra l’azienda può offrire prestazioni di welfare a prescindere dal raggiungimento di determinati risultati.

Tuttavia la trasformazione dei premi in welfare comporta l’azzeramento delle tasse sul reddito da lavoro dipendente e anche la decontribuzione a carico dell’azienda e del lavoratore. In questo caso, quindi, l’azienda risparmia e il lavoratore ha un netto più elevato.

Tuttavia, oltre che economico il vantaggio del welfare è consentire a singoli individui di accedere a beni e servizi a cui non potrebbero farlo singolarmente o a offrire loro condizioni di miglior favore. Il primo passo per attuare il Welfare in azienda sarà pertanto quello di effettuare un’indagine circa le misure più utili ai dipendenti.

L’azienda, quindi, individua le misure in concreto attuabili. Oggetto delle analisi aziendali saranno quindi sia l’organizzazione in concreto di tali misure che, soprattutto, il budget da predisporre a tal fine. Un’azienda che oggi vuole destinare ai propri dipendenti un pacchetto di beni e servizi diversi dalla tradizionale remunerazione in denaro dispone di diverse opzioni per attivare questo percorso:

  • può far partire unilateralmente il piano (strada che garantisce maggiore flessibilità operativa ma non consente ai dipendenti convertire i premi economici individuali in beni e servizi di welfare); in questo caso la fonte del welfare non avrà natura negoziale ma costituirà un atto unilaterale del datore di lavoro;
  • può stipulare un accordo collettivo di secondo livello con le organizzazioni sindacali (ipotesi che consente ai dipendenti di scegliere il paniere in alternativa al premio di risultato). La stipula di un accordo sindacale aziendale è certamente la scelta più vantaggiosa per quelle aziende in cui esiste già un consolidato sistema di relazioni sindacali: il welfare può infatti rivelarsi come uno dei migliori strumenti per migliorare i rapporti con i sindacati.

Nelle aziende, tuttavia, non sempre è presente la rappresentanza sindacale.

In questo caso una prima soluzione per l’azienda è quella di sottoscrivere un accordo con il sindacato comparativamente più rappresentativo di livello provinciale. Qualora l’azienda non intenda sottoscrivere un accordo aziendale può decidere di recepire specifici accordi territoriali.

Tuttavia, vanno rispettate delle regole. Se l’impresa è iscritta a una associazione di categoria, è obbligata ad applicare il contratto territoriale eventualmente sottoscritto dalla propria associazione di appartenenza in tema di detassazione dei premi di risultato.

Ciò in quanto, con l’adesione all’associazione, l’azienda si obbliga ad applicare tutti i livelli di contrattazione collettiva sottoscritti dalle diverse articolazioni territoriali. Qualora l’azienda non sia iscritta a una associazione di categoria, è libera di recepire un qualsiasi contratto collettivo territoriale sia se riferito a un territorio diverso, sia se sottoscritto da un’associazione di categoria diversa rispetto al settore economico di appartenenza. Conclusa la fase di elaborazione del piano, i dipendenti potranno iniziare a godere delle misure offerte dall’azienda.

L’azienda può anche gestire le misure di welfare utilizzando piattaforme web attraverso le quali i dipendenti, con apposita password, possono spendere il budget assegnato.

Vediamo quali beni e servizi di welfare possono beneficiare della detassazione totale.

Previdenza complementare

Il lavoratore che decide di convertire il premio di risultato in contributi alla previdenza complementare può contare su tre vantaggi: superamento del limite di deducibilità al momento del versamento, non imponibilità fiscale all’atto dell’erogazione della prestazione pensionistica complementare, esenzione integrale da imposizione previdenziale. 

Questa scelta, peraltro, permette di compensare in tutto o in parte la quota di contributi non versati alla previdenza obbligatoria per effetto della trasformazione del premio.

L’eventuale conversione del premio ha effetti anche sul datore di lavoro il quale, sotto il profilo dei costi del lavoro correlati al pagamento del premio di risultato, beneficerà non solo della deducibilità a fini Ires del premio erogato ma anche dell’esenzione da contribuzione previdenziale.

Assistenza sanitaria integrativa

Agevolazioni sono riconosciute anche se il premio viene convertito in versamenti di assistenza sanitaria a enti o casse aventi esclusivamente fini assistenziali: la non imponibilità a fini reddituali è riconosciuta in capo al lavoratore anche se gli importi convertiti eccedono la soglia di 3.615,20 euro. Tuttavia, due sono i punti di attenzione da considerare a tal fine.

Innanzi tutto, il beneficio della non imponibilità dal reddito, con deducibilità oltre soglia, non si ha quando i contributi siano destinati a fondi che erogano prestazioni integrative al Servizio Sanitario Nazionale.

Inoltre, la detassazione dei contributi è possibile solo al momento della conversione del premio e non anche all’erogazione delle prestazioni ad essi riferibili. La deduzione o detrazione degli oneri è possibile nella misura in cui la relativa spesa sia rimasta a carico del contribuente. Tale condizione non sussiste se la spesa è stata sostenuta o rimborsata a seguito di contributi dedotti dal reddito o che non hanno concorso alla formazione del reddito, come nel caso di contributi versati in sostituzione di premi di risultato agevolabili. Le spese sanitarie sostenute dal contribuente e rimborsate dalla cassa risultano, quindi, indeducibili e indetraibili.

Beni e servizi di utilità sociale

I beni e servizi di utilità sociale, aventi cioè finalità ricreative, sociali, di formazione e istruzione, assistenza sanitaria e culto, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, anche se erogati in conformità alle previsioni di contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, nonché di accordi interconfederali.

In pratica queste erogazioni di beni e servizi offerti alla generalità o a categorie di dipendenti sono “esenti” non solo se volontariamente riconosciuti dal datore di lavoro ma anche se corrisposti a fronte di una specifica previsione contrattuale o di regolamento.
Queste erogazioni di benefit sono estese anche alle seguenti somme e servizi:

  • rimborsi di oneri e servizi di istruzione dall’asilo nido fino all’università;
  • servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti;
  • premi e contributi per assicurare il lavoratore contro il rischio di non autosufficienza (long term care) e quello di malattie gravi (dread disease).

Tali benefit non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sia se volontariamente erogati dall’impresa, cioè come liberalità, sia se previsti in regolamenti aziendali, cioè in atti unilaterali che non coinvolgono i sindacati.

L’unica differenza, tra l’erogazione in forma liberale e l’erogazione in adempimento di un obbligo contrattuale (previsto nel contratto collettivo o anche in un regolamento aziendale), riguarda la disciplina fiscale dei costi sostenuti dall’azienda. Mentre sono interamente deducibili quelli sostenuti in adempimento di un obbligo negoziale, sono invece deducibili nei limiti del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente le spese per opere e servizi di utilità sociale volontariamente sostenute dall’azienda.

Trasporto pubblico locale

Anche gli abbonamenti per il trasporto pubblico locale rientrano nel welfare aziendale, con relativi vantaggi fiscali. Infatti non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, senza limitazioni di importo, le somme erogate per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei suoi familiari fiscalmente a carico, quindi da utilizzarsi non solo per recarsi al lavoro.

Interessi sul mutuo

Il premio di risultato può essere convertito anche in un contributo erogato del datore di lavoro a copertura di parte degli interessi che gravano su un mutuo acceso dal dipendente. In questo caso la base imponibile è pari alla metà della differenza degli interessi calcolati al tasso ufficiale di riferimento e quelli effettivamente pagati dal lavoratore all’istituto di credito.

La procedura da seguire è piuttosto articolata, in quanto l’azienda deve versare il suo importo su un conto corrente appositamente aperto dal lavoratore per l’erogazione del mutuo in modo che le somme non entrino mai nella disponibilità del dipendente e vengano utilizzate effettivamente per il rimborso del finanziamento.

Fabbricati

Sempre in ambito di fabbricati, c’è anche la possibilità di convertire il premio per beneficiare della locazione, uso o comodato di un immobile messo a disposizione dall’azienda.

Tuttavia l’opzione è più teorica che pratica in quanto a livello economico la tassazione effettiva che viene applicata è più elevata dell’aliquota del 10% che grava sul premio in denaro. In caso di sostituzione del premio di produttività agevolabile con l’utilizzo di un fabbricato, quest’ultimo concorrerà a formare reddito di lavoro dipendente in misura pari alla rendita catastale dell’immobile aumentato di tutte le spese e al netto di quanto eventualmente corrisposto dal dipendente. Si viene a configurare un aggravio d’imposta per il lavoratore, che dovrà sostenere una tassazione ordinaria progressiva sul valore forfetario dell’immobile concesso in uso, in luogo dell’imposizione agevolata al 10 per cento.

Autoveicoli

In caso di concessione in uso promiscuo al dipendente di autoveicoli, motocicli e ciclomotori, concorre a formare reddito di lavoro dipendente il 30% dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali dell’Aci, al netto degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente.

Nell’ipotesi di conversione del premio con l’autoveicolo, motociclo e ciclomotore aziendale, concorrerà alla formazione del reddito di lavoro dipendente non il valore normale attribuibile all’utilizzo del veicolo (ad esempio, il canone di noleggio) ma il relativo valore determinato forfetariamente.

È evidente, tuttavia, come in questa ipotesi la conversione comporti un aggravio fiscale per il dipendente il quale, invece di tassare il premio in misura sostitutiva pari al 10%, si trova a dover scontare un’imposizione ordinaria progressiva sul valore convenzionale.

Conclusioni

Prevedere dei premi di risultato e la possibilità di convertirli in beni e servizi di welfare aziendale può essere un utile strumento che consente di migliorare l’efficienza dell’azienda e contestualmente risparmiare imposte e contributi.

Le imprese, però, dovranno scongiurare un rischio: quello di scegliere il welfare solo per beneficiare della leva fiscale. Sarebbe un errore imperdonabile. L’istituto funziona solo se si pone come risposta a fabbisogni concreti del personale, che vanno oltre il mero risparmio tributario.
Per una vincente attività di welfare in azienda occorre:

  • Scegliere un piano welfare efficace e che non disperda il costo ma ne tragga il massimo del beneficio in azienda e per l’azienda. Le attività di miglioramento del clima aziendale, attraverso attività di welfare in azienda, accrescono il senso di appartenenza dei dipendenti stessi.
  • È necessario tenere conto dell’efficacia in termini di valore percepito da parte dei dipendenti e l’universalità dei benefit, per evitare che una parte dei dipendenti si senta esclusa da questi vantaggi. E poi scegliere una serie di possibili benefit che siano ad alto rapporto efficacia/costo. L’incapacità del piano di welfare aziendale di soddisfare le esigenze dei destinatari ne vanifica in modo sostanziale l’efficacia, perché un’offerta frettolosa viene percepita come meramente funzionale all’adempimento di obblighi derivanti dalla contrattazione collettiva.
  • L’organizzazione del servizio deve essere chiara, un modello con tempi ed impegno certo. Il welfare può essere l’opportunità di trasformare il costo in investimento ma deve essere gestito strategicamente, non trascurando il valore etico e di immagine che ne deriva.
Lo studio rimane a disposizione per eventuali chiarimenti nonché per valutare l’opportunità e la fattibilità di piani di welfare aziendale.

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Studio Dott. Francesco De Lazzari

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